“Se puoi vincere, devi farlo!” 21 anni dalla morte di Marco Pantani: il Pirata non ha mai smesso di vincere

Sono passati ventuno anni dal 14 febbraio 2004, una data che per molti di noi è scolpita nella memoria come un’ombra, un dolore e, forse, un po’ di rabbia. Quel giorno moriva Marco Pantani, il Pirata, l’uomo che ha fatto della fatica la sua arma, della salita la sua casa, e della sofferenza il suo marchio di fabbrica. Ma nonostante sia passato tanto tempo, la sua leggenda è più viva che mai. Un po’ come quando un amico ti dice: “Io ti voglio bene”, ma lo fa con un sorriso che non riesci mai a dimenticare. Pantani è sempre lì, nelle salite, nelle smorfie, e soprattutto nelle vittorie che nessuno potrà mai cancellare.

Marco Pantani
Foto: www.cdt.ch

La fatica che non finisce mai: Pantani, l’eroe delle salite

Marco Pantani non ha mai avuto paura della salita. Anzi, era un amante delle pendenze brutali, quelle che ti fanno venire il fiatone solo a guardarle. Ma più ripida era la strada, più la sua figura diventava iconica.

Lo vedevi partire con la testa bassa, i denti stretti, e l’energia che sprigionava sembrava quasi magica. Per lui, “salita” non significava solo faticare, ma diventava un mantra. Un giorno, con uno dei suoi scatti da paura, si è detto: “Vado così forte per abbreviare la mia agonia”. Ecco, Pantani non voleva solo vincere, voleva fare della sofferenza un’arte. E lo faceva con il sorriso di chi sa che, una volta raggiunta la cima, la discesa è solo un altro trionfo.

La morte di un uomo, la nascita di una leggenda

Il 14 febbraio 2004, il Pirata non è più tra noi, ma il ciclismo senza di lui è come una pizza senza pomodoro: perde il suo sapore. E sebbene il destino gli abbia tolto la vita troppo presto, non è riuscito a cancellare la sua magia. Ogni pedalata che ha fatto, ogni battito del cuore che ha regalato alla sua bici, è diventato parte della leggenda. Chiunque conosca Pantani sa che la sua morte non è la fine di una carriera, ma l’inizio di un mito che continua a vivere in ogni curva e ogni strappo delle strade d’Italia. E non ci serve sapere se è stato doping, mistero o maledizione: lui ha vinto. Punto.

Marco Pantani: il ciclismo è lui, non ci sono dubbi

C’è chi sostiene che il ciclismo senza Pantani non sarebbe lo stesso, e non è una frase buttata lì tanto per dire. È la pura verità. Marco Pantani ha incarnato tutto ciò che significa “ciclismo”: l’amore per la bici, la sfida alla montagna, e la solitudine di chi lotta contro se stesso. Il Giro d’Italia e il Tour de France non sarebbero stati lo stesso spettacolo senza le sue salite mitiche, le sue fughe impossibili, e quel gesto leggendario di staccare tutti come se fosse un ciclista su un altro pianeta. In fondo, se c’è una cosa che Marco ci ha insegnato, è che “Se puoi vincere, devi farlo!” Non importa se la strada è in salita o se l’aria è rarefatta: quando la tua bici vola, non c’è spazio per il dubbio.

L’eredità di Pantani tra sorrisi, lacrime e polemiche

Se c’è una cosa che non manca mai, sono le polemiche. Perché, come si dice, “un grande campione ha tanti nemici”. Le voci su Pantani, le indagini, le polemiche sul suo modo di correre, sono state molte e, a frangenti, un po’ troppe. In tanti hanno cercato di minare la sua immagine, forse con più passione di quanta ne avessero mai avuta per la sua carriera. Ma nonostante tutto, la sua memoria rimane intatta. Marco Pantani ha vinto, e basta. E a chi vuole analizzare la sua vita fino all’ultimo dettaglio, un consiglio: lasciate perdere, perché il vero “Pirata” è quello che vediamo nelle strade, nei suoi scatti e nelle sue vittorie, non nelle inchieste.

Ventuno anni sono passati, eppure la sua immagine è ancora lì, fissa nella mente di tutti noi. L’emozione di vederlo in TV, la voce rotta di Adriano De Zan che raccontava le sue gesta, la speranza che, da un momento all’altro, potesse ancora una volta stupirci. La sua leggendaria ascesa in montagna è stata un’iniezione di adrenalina per il ciclismo e per chiunque guardasse. E oggi, guardando i giovani ciclisti, sembra quasi che Pantani viva ancora nelle loro gambe, nelle loro smorfie, nei loro scatti. Marco Pantani non ha bisogno di spiegazioni, di dibattiti, o di giustificazioni. Lui è il ciclismo. Punto.

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