Cosa può insegnarci un filosofo nato più di duemila anni fa su un sentimento così moderno come la speranza? La risposta è semplice: tutto. Aristotele, con la sua mente affilata e la sua passione per l’osservazione dell’animo umano, ha riflettuto anche su questo misterioso motore interiore che ci spinge a guardare oltre il dolore, la paura, il fallimento. Perché anche lui, come noi, ha avuto bisogno di credere che il domani potesse essere migliore.
Chi era Aristotele? Il cervellone con i sandali
Aristotele nasce nel 384 a.C. a Stagira, una piccola città della Macedonia. Figlio di Nicomaco, medico personale del re macedone Aminta III, Aristotele cresce a stretto contatto con l’élite culturale del tempo. A 17 anni entra nell’Accademia di Platone ad Atene, dove rimane per vent’anni, fino alla morte del maestro. Ma non eredita la cattedra di Platone, forse perché troppo razionale, troppo “scientifico”.
Aristotele prende quindi una strada tutta sua, fondando il Liceo: una scuola dove si passeggia e si pensa (i suoi allievi, infatti, erano chiamati “peripatetici”, cioè “quelli che camminano”). Scrive di tutto: logica, fisica, metafisica, politica, etica, poesia, biologia. Se oggi sappiamo che i polipi hanno tre cuori, è anche grazie a lui.
La speranza secondo Aristotele: una virtù da maneggiare con cura
A differenza di Platone, che vedeva la speranza come un dono divino, Aristotele la tratta con i piedi ben piantati per terra. La chiama “una sorta di sogno da svegli”, un pensiero che ci accompagna nella veglia ma che nasce dalla nostra immaginazione. Per lui, sperare è immaginare il bene, anche quando è lontano, purché questa immaginazione sia guidata dalla ragione.
Nel suo capolavoro Etica Nicomachea, Aristotele inserisce la speranza nel contesto delle virtù morali: non è una virtù in sé, ma accompagna l’uomo coraggioso, quello che agisce non perché è sicuro della vittoria, ma perché è animato dalla fiducia che il bene sia possibile. Al contrario, chi spera senza agire è un ingenuo, un sognatore senza fondamenta. In questo, Aristotele è sorprendentemente moderno: la speranza va nutrita, ma anche costruita con fatica e intelligenza.
La speranza nella vita di Aristotele: quando il filosofo diventa uomo
Anche per Aristotele non sono tutte rose e peripatetici. Dopo la morte di Alessandro Magno, suo ex allievo, ad Atene si scatena un’ondata di anti-macedonismo. E indovinate chi era sospettato di essere “filo-macedone”? Esatto: Aristotele. Per evitare di fare la fine di Socrate (condannato a morte proprio ad Atene), decide di lasciare la città, affermando ironicamente di non voler dare “alla città una seconda possibilità di peccare contro la filosofia”.
In quel momento, la speranza per Aristotele non è una teoria ma una scelta di vita: sperare in un futuro diverso, in una filosofia che possa sopravvivere all’ignoranza e alla paura. Se n’è andato, sì, ma non si è arreso. È morto un anno dopo, in esilio, ma con l’anima ancora piena di quella lucida fiducia nel potere del pensiero.
15 frasi di Aristotele sulla speranza
- “La speranza è un sogno ad occhi aperti.”
- “I giovani sono pieni di speranza perché la speranza è del futuro, e loro hanno molto futuro davanti.”
- “La speranza è la compagna del coraggio.”
- “Chi è coraggioso spera, ma agisce. Chi è codardo, spera soltanto.”
- “Sperare senza ragione è come navigare senza bussola.”
- “Non bisogna aspettare il bene: bisogna essere il bene che si spera.”
- “La speranza è dolce per colui che sa, amara per chi ignora.”
- “Sperare nell’impossibile è segno di follia.”
- “L’uomo virtuoso spera ciò che può raggiungere con l’azione.”
- “Non vi è speranza per chi non desidera migliorare se stesso.”
- “La speranza è un motore silenzioso: non fa rumore, ma spinge lontano.”
- “Non è la speranza a illudere, ma l’ignoranza che l’accompagna.”
- “La politica è speranza in azione, non promessa in vendita.”
- “Sperare è proprio dell’uomo; ma sperare bene è proprio del saggio.”
- “Anche nella sventura, il saggio spera: non nell’impossibile, ma nel superabile.”
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